salvataggio, cura e liberazione di una Caretta caretta
Questa è la storia di Campanella, una tartaruga Caretta caretta che, grazie a un fortuito e emozionante salvataggio, ha riacquistato la salute e la libertà che le spettavano. Ripercorrere questa avventura è un viaggio nel cuore della mia passione per il mare e per le sue creature, un’opportunità per condividere non solo un’esperienza, ma anche il mio legame profondo con la natura.
Domenica 23 Giugno 2024, sembra un normalissimo giorno di lavoro. Per chi non lo sapesse sono, fra le tante cose, guida subacquea e di snorkeling presso il centro subacqueo “Punta Campanella Diving Sorrento“. Certamente non la solita routine, solo perché so benissimo che a ogni uscita in natura, che sia una passeggiata in un bosco, uno snorkeling o un’immersione subacquea, si nasconde sempre qualcosa di diverso, un fascino che anche dopo più di 4 decadi di attività mi rapisce particolarmente.

Adoro lo snorkeling, nonostante fisicamente sia più provante delle immersioni, si nuota per più tempo e si coprono tratti di costa più lunghi, dal punto di vista prettamente didattico ha un valore aggiunto che la vera immersione subacquea non ha. In primis con questa semplice attività si raggiungono molte più persone, anche solo lontanamente interessate ad un’escursione diversa all’aperto, in secondo luogo, il fatto di potersi fermare e spiegare cosa si è visto ha un valore divulgativo immenso.

Di certo quella strana mattina avevamo un piano diverso dal solito; sabato si era ballato abbastanza a causa di condizioni meteo non perfette, alcuni ospiti avevano sofferto di mal di mare, quindi concordammo con lo skipper assegnatomi, il mitico Andrea Rolla, un itinerario diverso, più “soft”, del resto avevamo solo 2 snorkelisti. Le mie ultime parole famose furono:
“Oggi ti faccio rilassare”.
Il nostro piano era semplice e lineare, ci saremmo diretti lentamente verso il capo di Sorrento, lì avrei fatto un giro classico ai bagni della Regina Giovanna, vasca della regina più paretina. Poi saremmo andati fra Piano di Sorrento e Sant’ Agnello per un breve e lento tour della costa, visione delle varie grotte, racconto di leggende e storia antica, questo ci avrebbe portato alla seconda uscita di snorkeling alla Riviera Massa, uno spazio acqueo compreso nel comune di Sorrento, poco dopo il confine con Sant’Agnello. Il mio scopo era quello di rimanere all’interno di due delle tre scogliere parallele alla parete di tufo, per essere protetto e poter portare avanti un ottimo, didattico e rilassante snorkeling in acqua bassa.

L’uscita al Capo mi aveva lasciato con un po’ di “amaro in bocca”, per carità sempre bellissimo, ma l’acqua nella vasca della regina non era il massimo dello splendore e la risacca sulla paretina fuori si era fatta sentire non poco. Devo essere sincero, il giorno prima non era stato facilissimo e mi sentivo un po’ stanco, del resto ho ormai anche una certa età…
Il piano architettato con Andrea filò liscio, anche troppo, eravamo un po’ in anticipo sui piani;
“magari dopo posso raccontare qualche altro fatto interessante sulla penisola”, pensai fra me e me.
Secondo tuffo della mattinata; entrammo con calma in acqua all’altezza dell’ingresso della prima scogliera proprio alla fine della scogliera del principe, vecchia dipendenza di Riviera Massa, ex dimora del principe Massa. Lì mi fermai un attimo su alcune macchie di prateria di Posidonia oceanica per illustrare agli ospiti alcune caratteristiche fondamentali di questa splendida pianta marina e alcune delle centinaia di servizi ecologici che ci fornisce. Passai su di un grosso scoglio dove qualche settimana prima c’era la tana di un bel polpo, ma del cefalopode nessuna traccia.
Qualcosa mi attirò nel nuotare un pochino più verso la scogliera del principe e alzando lo sguardo verso la superficie la vidi, uno splendido esemplare di tartaruga marina.
Ho visto centinaia di tartarughe nella mia vita, ho avuto la fortuna e la possibilità di viaggiare molto e di certo non dimenticherò mai la mia prima tartaruga, vederle nuotare libere in oceano è qualcosa di spettacolare, difficilmente ci si abitua ad una bellezza del genere, ma nella mia lunga carriera non avevo mai visto una tartaruga viva e libera nel mio Mediterraneo.

Capite quindi l’emozione istantanea che mi colse, un urlo nello snorkel per i clienti, poi un urlo fuori dall’acqua per Andrea:
“Una tartaruga!”
Rimisi subito la testa in acqua per godermi lo spettacolo di una creatura tanto maestosa in un paio di metri d’acqua, ma la cosa che mi colpì subito fu la pinna anteriore sinistra, la povera bestia aveva qualcosa arrotolato all’arto. Non ci pensai due volte e letteralmente mi avventai sull’animale. Qui devo confessarvi una seconda cosa, nella mia lunga carriera e nei molti avvistamenti che ho fatto nei mari del mondo, per rispetto, non ho mai toccato una tartaruga, neanche una leggera carezza al carapace, e quella domenica mi trovai letteralmente aggrappato al guscio della mia prima Caretta caretta.
La risposta dell’animale fu furibonda, cominciò a nuotare impetuosamente, evidentemente non si aspettava che qualche scellerato la afferrasse in quel modo. Mi sembrò di essere agganciato ad uno scooter subacqueo fuori controllo.
La prima idea fu subito quella di liberarla, sulla boa che uso per lo snorkeling c’è sempre un taglia sagole, ma nella confusione era chissà dove! Chiesi aiuto al buon Andrea, che nel frattempo stava levando l’ancora:
“Un coltello Andrè, mi serve un coltello!!!”
Andrea mi vide emergere con una grossa tartaruga fra le braccia e si prodigò immediatamente nel fornirmi un coltello ben affilato. Nel frattempo ebbi modo di controllare meglio l’animale e… la povera pinna non era messa bene, sicuramente c’era necrosi.
“Lascia perdere Andrè la imbarchiamo, ha bisogno di cure, chiama a terra che avvisino Mimì!”
Andrea mi prese sicuramente per matto scoppiato, appeso ad un animale di una quarantina di chili che spinnava come un folle, gli chiedevo di telefonare al diving center.
Al diving c’era Gianluigi Di Maio, il boss, anche lui è biologo marino, ma portatore sano, rispose prontamente al telefono, si attivò per chiamare Mimì e lasciò Andrea, ma prima di attaccare gli disse:
“Fai delle foto!”
Sembra assurdo, ma non ci era passato neanche per l’anticamera del cervello di fare foto ne tantomeno video.

Mimì, per gli amici, al secolo è il dottor Domenico Sgambati, è uno stimato biologo marino della penisola sorrentina, super esperto di tartarughe marine, nidi e recupero di esemplari in difficoltà. Si tratta della prima persona da chiamare, a mio avviso, in questi casi ed è anche uno dei pochi ad avere le autorizzazioni giuste per poter maneggiare un CITES.
La lotta a quel momento era ancora lontana dall’essere finita, la povera bestia, vistasi alle strette, dette fondo a tutte le sue energie. Ogni volta che, per stare a galla meglio, cercavo di slacciarmi la cinta della zavorra sentiva la presa allentarsi, si ribellava irruentemente e cercava la libertà;
“Se mi scappa non la recupero più”, pensai.
Da un lato ero molto concentrato sul recupero, dall’altro ero estremamente preoccupato di causare stress estremo a questa povera creatura e ogni tanto la sollevavo per accertarmi che respirasse. Ero quasi allo stremo quando provammo ad imbarcarla per la prima volta da poppa del gommone del diving. Non riuscendo a pensare lucidamente chiesi ad Andrea di afferrarla davanti mentre la spingevo dal posteriore. Poggiai la tartaruga sulla poppa e, quando il caro Andrea fece per afferrarla, l’animale sferrò un poderoso morso che Andrea schivò e che lo fece desistere.
“Fabio dobbiamo trovare un altro modo”.
Sicuramente Andrea era più lucido di me, avevo la mente ottenebrata dall’estrema fatica, rapidamente preparò una cima da passare sotto l’animale per poterlo issare, il piano riuscì non senza intoppi. Nell’estremo tentativo di “salvarsi” l’animale morse veementemente con la ranfoteca un lungo supporto d’acciaio presente fra la plancetta di poppa e il paiolato del gommone. Eravamo bloccati, le tartarughe marine hanno un morso così forte che possono addirittura fratturarsi la mandibola da sole. Decisi, quindi, di infilare una mano sotto al collo dell’animale per titillarlo e provare a farle mollare la presa. La manovra riuscì e con un ultimo sforzo l’animale fu issato a bordo, ma ero lontano dal rilassarmi.

L’animale non aveva nessuna intenzione di arrendersi e per tutto il tragitto, fra il punto dove la trovammo e il porto di Marina Grande, continuò a sfiancarmi provando con tutte le forze a tornare in acqua. Mentre si agitava a poppa del gommone l’arto continuava a desquamarsi peggiorando almeno nell’aspetto.
Al molo c’erano già in attesa Gianluigi Di Maio e Daniels Kļaviņš, che insieme ai pescatori di Marina Grande ci aiutarono a sbarcare la povera bestia, l’attendeva il nostro carrello per trasportare bombole e attrezzature.

Appena a terra uno dei pescatori della marina liberò definitivamente l’esemplare dall’ultimo pezzo di cima nera che avvolgeva la pinna. Ovviamente la tartaruga richiamò immediatamente un nutrito gruppo di persone che si chiedevano perché avessimo prelevato l’esemplare, la marina era molto frequentata visto anche il numero di ristoranti presenti e il fatto che fosse domenica prossimi all’ora di pranzo.
Bisogna sempre ricordare che quando si trova un esemplare di tartaruga in difficoltà bisognerebbe sempre e comunque intervenire, sono animali minacciati e il “fai da te” non è mai auspicabile.
Il carapace della tartaruga, di circa 70 cm, era parzialmente ricoperto da alghe verdi e da alcuni grossi balani, era anche completamente invaso da Caprelle (piccoli crostacei appartenenti all’ordine degli anfipodi), questi crostacei si afferrarono tenacemente alla mia muta e alla barba, molti riuscii a staccarli solo alcune ore dopo sotto la doccia. La tartaruga pesava circa 40 kg.
C’era comunque il tour di snorkeling da concludere, lasciai la tartaruga nelle mani dei miei colleghi e tornai sullo spot di snorkeling con il buon Andrea ai comandi;
“mi servirà una settimana di ferie”, gli dissi.
Nel frattempo Mimì era arrivato alla marina, aveva avvisato capitaneria, area marina protetta e, prelevata la tartaruga con un grosso mastello di plastica, si apprestava rapidamente a portarla presso il Turtle Point di Portici, un’eccellenza, centro per lo studio e il recupero delle tartarughe marine. Prima di partire chiese a Gianluigi come avrebbe voluto chiamare l’esemplare, la sua prima risposta fu “Fabio”, ma Mimì gli fece notare che si trattava di un’esemplare femmina, quindi d’istinto Gian scelse Campanella, ispirandosi al nome del diving e all’area marina protetta in cui operiamo.
Appena rientrato dal tour avevo già i primi messaggi WhatsApp da parte di Mimì:
“…sei un mito… mostruoso come l’hai pigliata…”
Mi mandò anche le prime foto della tartaruga nel mastello, la pinna non era messa per niente bene, ci avevo visto giusto.

Mimì mi chiese di non divulgare subito la notizia, che, nel più breve tempo possibile, l’area marina protetta avrebbe rilasciato un comunicato stampa.
Lunedì 24 Giugno, ero su tutti i giornali con in braccio Campanella a mare nelle foto di Andrea, non mi si nomina mai, scrissi nel condividere un articolo sulla pagina Facebook di Scubabiology:
“Gli eroi dei fumetti spesso indossano una maschera e nulla si sa del loro vero nome… Non sono un eroe, ma sono fiero di quello che ho fatto ieri! Fa strano vedersi ovunque!”

Purtroppo la notizia non solo era riportata con qualche errore, sia chiaro non grave, ma era stata offuscata dal ritrovamento di un altro esemplare, purtroppo morto per un impatto con un’imbarcazione, a Marina del Cantone, all’opposto esatto della penisola sorrentina rispetto a Sorrento!
Nel frattempo Mimì mi tenne costantemente aggiornato sulle condizioni di Campanella:
“Ho una buona notizia, l’Eco doppler della pinna mostra presenza di attività di vasi sanguigni sia venosi che arteriosi, non si amputa!!! Perfetto tempismo!!!”
Ero felicissimo, eravamo intervenuti in tempo, tuttavia le condizioni della tartaruga, pur non destando preoccupazioni generali, non erano ottimali, l’attendevano mesi di pazienti cure per poter tornare in forma e libera.
Mimì mi aggiornava settimanalmente sulle condizioni di Campanella, mi avvisò anche che il 19 Luglio sarebbe andato al Turtle point con una sua classe, purtroppo non avrei potuto seguirlo e rimandammo a quando saremmo stati liberi insieme.
19 luglio, come previsto con i suoi studenti Mimì visitò il Turtle point. Gli chiesi il piacere di scattare molte foto e fare un vero e proprio interrogatorio ai veterinari su tutto quello che riguardava la sfortunata tartaruga. Le foto che mi mandò mi rattristarono un po’, l’arto sembrava estremamente depigmentato.

Tutto normale, le tartarughe, quando qualcosa non va per il verso giusto in uno degli arti, attivano un processo di autotomia, praticamente chiudono i vasi sanguigni e si auto amputano l’arto, un po’ come fanno le lucertole con la coda, solo che alle tartarughe non ricresce nulla. Una tartaruga con un arto mancante sopravvive tranquillamente, ho visto esemplari amputati alle Maldive vispissimi, nuotare come missili, tuttavia il problema per le femmine come Campanella è che i due arti anteriori non servono solo per nuotare, infatti, le femmine per poter deporre le uova in spiaggia devono issarsi faticosamente con questi arti e se uno manca la capacità riproduttiva è compromessa.
“Tutto procede molto lentamente, ma abbiamo tempo. Questo dà l’idea di quanto sia importante il recupero della tarta e non il rilascio. Abbiamo stoppato e invertito il processo di amputazione automatico che i rettili, di solito, attivano quando qualcosa va male. Ovvero rigenerazione piuttosto che amputazione. Il recupero si spera sia al 100%, ha ancora tessuto necrotico che si sta lentamente rimuovendo per dar spazio a tessuto nuovo. Condizione fondamentale per il recupero è la qualità dell’acqua in vasca che permetterà alla tarta, che ha un grande potenziale di recupero autonomo, di rigenerare. Le hanno fatto una bella terapia di antibiotico all’inizio”; mi scrisse Mimì.
L’arto veniva meticolosamente pulito, trattato con Betadine e curato con Laser terapeutico per migliorare la circolazione, ridurre la sofferenza e riparare i danni tissutali.
Campanella era nelle sapienti mani del dottor Andrea Affuso il veterinario, coordinatore e responsabile di tutto il centro. Andrea è una persona davvero eccezionale, dedita completamente al suo lavoro.

9 Agosto, ci sono novità da Mimì. La situazione era decisamente migliorata rispetto a Luglio, la pulizia della ferita per la rimozione del tessuto necrotico e il piano terapeutico studiato da Andrea andavano avanti e davano i loro risultati, purtroppo Campanella perse una falange che però non comprometteva la funzionalità generale dell’arto. La parte più critica rimaneva ancora il punto dove la cima strozzava la pinna. In generale le condizioni dell’animale miglioravano a vista d’occhio e si cominciava a parlare di liberazione. Mimì ripropose l’intervento del diving per l’evento e Andrea fu più che favorevole. Ovviamente si doveva attendere la piena riabilitazione e l’autunno, periodo nel quale il traffico nautico è inferiore, tuttavia non si sarebbe potuto andare troppo in là, le tartarughe sono rettili e necessitano di acqua calda per essere attive.
Secondo quello che mi disse Gianluca Treglia, collega e collaboratore del centro, all’inizio Campanella accettava con molta difficoltà le cure, non amava assolutamente essere manipolata, ma pian piano, forse intuendo in qualche modo che quelle manipolazioni la stavano portando alla guarigione, divenne più mansueta.

6 Settembre, mi arrivò un nuovo messaggio con foto allegata, la tartaruga stava riprendendo la pigmentazione dell’arto:
“Si sta riprendendo alla grande” mi scrisse Mimì.
Arrivati ad Ottobre, Campanella era ormai completamente recuperata, non accettava di nuovo di buon cuore di essere toccata, probabilmente voleva solo ritornare al suo mare. Con una serie di messaggi e telefonate organizzai una visita al Turtle point per decidere la liberazione della tartaruga coinvolgendo tutti i ragazzi del diving.
23 Ottobre, finalmente riuscimmo ad avere del tempo libero insieme ed andai con Mimì al Turtle point. Il centro ricerche tartarughe marine della stazione zoologica Anton Dohrn occupa l’intero complesso dell’ex macello comunale di Portici, ospita una struttura che, concessa in comodato d’uso per vent’anni dal Comune, si estende su più di 600 m² coperti e 7000 m² scoperti, rappresentando un ottimo esempio di riqualificazione urbana.
Il Turtle Point è equipaggiato con laboratori all’avanguardia per analisi ambientali e biologiche, un ambulatorio completo con sala chirurgica e radiologica, una ricca esposizione didattica e due sale multimediali.
Inaugurato nel 2019 è diventato, non solo un punto di riferimento per tutto il Mediterraneo, ma anche un vero e proprio ospedale che salva la vita a decine e decine di tartarughe marine ogni anno.
Mi portarono subito a visitare Campanella, sinceramente non la ricordavo così grande, come diavolo feci a catturarla? Sicuramente abilità, ma anche tanta fortuna.
Andrea Affuso mi illustrò tutte le terapie alle quali Campanella era stata sottoposta. L’arto aveva una pigmentazione quasi normale, sembrava un miracolo se messo a confronto con le foto che mi aveva inoltrato Mimì, avevo con me la macchina fotografica e decisi di fare qualche scatto.

Purtroppo nelle altre vasche non tutti i degenti dell’ospedale se la passavano bene, Campanella era quella che stava meglio. Alcuni esemplari avrebbero dovuto aspettare almeno fino alla prossima primavera per essere rilasciati, perché non ancora pronti, mentre altri, i più sfortunati, non potranno mai essere rilasciati, troppo gravi le menomazioni per poter sopravvivere in natura. Alla vista di quest’ultimi il cuore mi si strinse. Lo scopo della detenzioni di questi esemplari non curabili è puramente didattico, si cerca di alleviare le loro sofferenze al minimo e di mostrare al pubblico l’impatto delle attività antropiche sulle specie di tartarughe.

Poco dopo salimmo negli uffici per un caffè, qualche pasticcino offerto da Mimì e per discutere sulla liberazione. Se il meteo lo avrebbe permesso si sarebbe tenuta il lunedì successivo. Il piano era chiaro, saremmo andati a Portici con il gommone del diving a recuperare la tartaruga e lo staff del Turtle point, da lì saremmo andati nella bocca grande di Capri (fra L’isola di Ischia e Capri) per il rilascio fuori dalle principali rotte dei traghetti. Era concesso a me e Gianluigi di stare in acqua per fare delle foto e video. Benissimo non stavo nella pelle.
La mia giornata al Turtle point non era ancora finita, mi aspettava un dolce “onere”, assistere il buon Andrea per mobilitare e aiutare a manipolare qualche esemplare in cura. Non vi nascondo che non fu una fatica, ma un piacere immenso riuscire anche minimamente ad essere utile.
Domenica 27 Ottobre notte, mi sentivo come un bambino la vigilia di Natale, un misto di eccitazione e agitazione mi tenevano sveglio. Ovviamente c’era emozione, perché a breve sarebbe arrivato l’evento che aspettavo da quel fatidico 23 Giugno, ridavamo la libertà ad una creatura alla quale l’avevamo tolta. L’ansia mi derivava dal dover fotografare al meglio la situazione, mi rassicurò ad un punto un pensiero:
“Non sono mica il National Geographic!”
Pian piano il mio piano prese forma, avrei fotografato senza flash, a mio avviso troppo stressanti per un animale già così fortemente sovraffaticato da terapie, manipolazioni e tanti mesi lontano dal suo ambiente. Avevo anche deciso che avrei usato le bombole e le mie lunghe pinne da apnea per inseguire Campanella, starle dietro sarebbe stato comunque difficile, mi prefissai di fare 2/3 scatti:
“Non sono di certo il National Geographic!!”
A pace quasi raggiunta, la stanchezza prese il sopravvento e mi addormentai, ma fu un sonno costellato di sogni di tartarughe che nuotavano in enormi spazi blu.
Lunedì 28 Ottobre, sveglia presto, controllai subito, per l’ennesima volta il meteo, sembrò che tutto filasse liscio. La macchina fotografica nella borsa era pronta dalla sera precedente e piano mi diressi verso la marina. Fui il primo ad arrivare al diving, non una novità, il tempo passato da solo lo dedicai a preparare l’attrezzatura che avrei utilizzato. Alla spicciolata arrivarono i colleghi, c’era il tempo per un altro caffè al bar:
“Stamattina siamo chiusi, c’è una missione da compiere”.
Dopo poco arrivò Mimì con la moglie Alba, eravamo pronti per salpare, destinazione Portici.


Arrivati a Portici ci attendevano già i ragazzi del Turtle point con Campanella pronta nel suo grande mastello di plastica bianco, mi prodigai subito per aiutare ad imbarcare l’esemplare a bordo.



Una volta a bordo sembrò che Campanella volesse letteralmente saltare fuori dal mastello, mi ricordai le parole che Andrea Affuso mi disse:
“è così forte che se la lasciamo dietro la scogliera la scavalca e torna a mare!”
I ragazzi a bordo insieme ad Affuso si prodigarono per legare un asciugamano all’imboccatura del mastello per evitare che l’animale si liberasse da solo anzitempo. Come da programma eravamo diretti verso la bocca grande di Capri. A bordo sembrava una festicciola di collegiali, eravamo tutti di ottimo umore, del resto queste occasioni sono delle vere e proprie celebrazioni per chi veramente ama la natura e su quel gommone c’erano solo veri intenditori della vita in ogni sua declinazione.

Solcavamo lentamente le acque, Andrea Rolla era più delicato del solito, il mare piatto come una tavola ci aiutava a rendere il traghettamento di Campanella perfetto, lei era nervosa, probabilmente non vedeva l’ora di tornare in acqua. Forse solo a me il tempo sembrò dilatarsi, eravamo tutti rivolti verso un solo scopo, arrivare al punto prefissato per il rilascio. Il cielo era meraviglioso, di un blu spettacolare con tantissimi cirri simili a capelli canuti e pensai che in foto sarebbe venuto molto bene. All’improvviso, dopo quel tempo indeterminato in cui i miei pensieri vagarono a lungo, si era infine giunti in un punto propizio. Tutto intorno il blu del cielo e del mare si mischiavano con le sagome delle due grandi isole, pensai che fosse un posto meraviglioso, abbastanza lontano da chiunque avesse potuto farle di nuovo del male.
Mi preparai, diedi alcune piccole istruzioni ed entrai in acqua, il buon Rolla mi passò la mia fidata macchina fotografica e a breve mi seguì Gianluigi con la GoPro.
Andrea Rolla si prodigò per aiutare a rimettere la tartaruga in acqua, nulla mi sembrò più naturale, l’aveva tolta dal mare ed era lui che la restituiva a quelle acque cobalto.
I primi scatti fuori dall’acqua mi sembrarono subito quelli che volevo fare.


Sgonfiai il gav e attesi il vero rilascio sotto il pelo dell’acqua, sopra la superficie Campanella agitava le pinne impaziente.
Di nuovo il tempo mi sembrò dilatarsi e in un attimo di distrazione persi il momento esatto in cui la tartaruga toccò l’acqua.

Poco dopo aver toccato l’acqua Campanella cominciò a nuotare, non così rapidamente come pensavamo, così sia io che Gian riuscimmo a seguirla per un po’.

Dopo aver nuotato un po’, risalì in superficie per il suo primo respiro in libertà, riscese e si allontanò pian piano nell’immenso blu. Desistetti dall’inseguirla oltre, ero più che soddisfatto, avevo le foto che volevo, anche se non perfette descrivevano tutto quello che desideravo descrivessero. Riemersi gridando di gioia, ero sinceramente al settimo cielo.
L’ultima immagine che avrò di Campanella è un puntino in un immenso mare blu che si allontana, lei tanto grande e anziana in quell’enorme blu si perdeva.
Nei giorni successivi un leggero sorriso mi solcava il viso ripensando a quell’ultimo momento insieme.

Alla fine della storia mi sento di dover fare alcuni ringraziamenti, non in ordine di importanza sia chiaro.
Grazie ad Andrea Rolla, senza il tuo fondamentale aiuto e la tua forza il recupero di Campanella sarebbe stato molto più difficile se non addirittura impossibile, sei un mito ed hai un cuore da vero campione.
Grazie a Gianluigi Di Maio e a tutto lo staff del Punta Campanella Diving Sorrento, insostituibili e pieni di passione, avete supportato in tutto il recupero e il rilascio della tartaruga, a pieno titolo meritava il nome di Campanella.
Grazie a Domenico Sgambati e Alba, senza di voi quante tartarughe non sarebbero più vive, siete unici vi voglio bene.
Grazie a tutto lo staff del Turtle point di Portici e in particolare ad Andrea Affuso, non solo per il lavoro e la fatica spesa su Campanella, ma anche per l’enorme sforzo che fate per proteggere e salvare queste meravigliose creature, siete nel nostro cuore.
Grazie a tutti voi che siete arrivati sino a questo punto della lunga storia, spero di non avervi tediato troppo, di avervi intrattenuto un po’ e trasmesso un po’ della passione e dell’amore profuso.
Ma soprattutto grazie Campanella, la tua storia è diventata parte di me, un insegnamento che va oltre la tutela dell’ambiente. È un invito a tutti noi a proteggere ciò che amiamo, a non dare per scontato questa meravigliosa vita marina e a cercare sempre, anche nel nostro piccolo, di fare la differenza.
Sicuramente non è un’occasione comune quella di poter raccontare una storia dall’inizio alla fine, una storia simbolo che non è solo quella di Campanella, ma di tutte le tartarughe in difficoltà del Mediterraneo.
Fabio Russo
