Meraviglie e biologia del Banco di Santa Croce
Nel bel mezzo del golfo di Napoli, in una delle zone più antropizzate e nelle vicinanze di uno dei fiumi più inquinati di Europa, si nasconde una perla di biodiversità “nascosta”, che molti subacquei conoscono bene mentre dai più è ignorato; il Banco di Santa Croce.
Perchè vi parlo del Banco?
I motivi sono molto basilari, in primis si tratta di una delle immersioni più belle d’Italia, in secondo luogo, pur avendolo scoperto tardi nella mia vita subacquea, è uno degli spot che ho visitato maggiormente. Per ultimo, si tratta di una meraviglia, quasi un unicum biologico per il golfo di Napoli.

Partiamo dall’inizio, dove si trova questo Banco e cos’è?
Il Cauraruso o Caurarusso, è questo il nome con il quale era noto presso i pescatori il Banco di Santa Croce, poiché avevano intuito che gli scogli formavano un complesso che ricorderebbe un calderone (Caurara in dialetto).. A questo andrebbe aggiunto il termine “russo” riconducibile al colore rosso delle gorgonie (Paramuricea clavata) che un tempo restavano impigliate nelle reti dei pescatori. Quindi il termine significherebbe “calderone rosso”.

Per quanto riguarda la toponomastica del nome “italiano” riportato sulle cartine, per intenderci, non sono stato capace di risalire ad una spiegazione, ovviamente è dedicato alla santa croce del nuovo testamento, ma non so esattamente il perché.
Ovviamente, è meglio specificarlo, con il termine banco non si intende un mobile utilizzato a scuola o in chiesa, né un robusto tavolo attrezzato per lo svolgimento di un lavoro e nemmeno un istituto di credito (in effetti si tratta di una parola con molteplici significati), bensì un ammasso o strato di elementi vari, di notevole spessore e di grande sviluppo orizzontale, in questo caso di roccia utilizzato come sinonimo di secca.
Quindi il Banco di Santa Croce è una secca? Si e no!
Perché in effetti si tratta di un complesso di secche situate a circa 600 metri dalla costa della frazione di Seiano del comune Vico Equense (NA), per chi è della zona nei pressi dei bagni “Il Bikini”, noti per il famoso scoglio che, nei periodi estivi, sfoggia due palme artificiali.

Quante sono le secche che compongono il complesso?
Questa è una bella domanda, perché dipende da cosa si intende per secca, la Treccani non ci viene in aiuto:
“Tratto del fondo marino poco al disotto della superficie delle acque, spec. quando sia rialzato rispetto ai fondali vicini, così da essere pericoloso per la navigazione“
Il cappello della secca meno profonda si trova a 9-10 metri; ora, se non siete al comando di una super petroliera (la Seawise Giant pescava quasi 25 metri), difficilmente potete considerare il Banco un pericolo per la navigazione!
In realtà una secca tecnicamente non è sempre un pericolo per la navigazione; con un’accezione più ampia del termine, possiamo considerare una secca un pinnacolo che si erge su di un fondale con una profondità più o meno costante. Detto questo, guardando la mappa di cui sopra, si può sicuramente dire che le secche principali sono 3, mentre le altre possono essere considerate o meno secche: alcuni le considerano solo scogli. In base a chi ve lo racconta, le secce vanno da un minimo di 7 ad un massimo di 9, io sono un pochino più pignolo sulle definizioni e mi mantengo sul minimo.
la protezione
Come vi dicevo il posto era noto ai pescatori per la sua pescosità, dopo le prime immersioni da parte dei pionieri sorrentini, quando pian pian il Banco è cominciato a divenire noto, si è pensato a proteggerlo in qualche modo. Nel 1993 il Banco divenne zona di tutela biologica (ZTB, 15 giugno 1993, Istituzione della zona di tutela biologica denominata Banco di Santa Croce) area ampliata nel 2009, questo significa che è fatto divieto assoluto di qualsiasi attività di pesca sia professionale che sportiva. In pratica nell’area del Banco, segnalata da una boa gialla con miraglio anch’esso giallo a forma di “X” è vietata la pesca in ogni sua forma.

L’area, insieme alla vicina Area marina protetta di Punta Campanella e l’isola di Capri, è, inoltre, inserita fra i Siti Natura 2000, una rete ecologica diffusa su tutto il territorio dell’Unione Europea, istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE “Habitat”, volta a garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario.
Da poco tempo è stato dichiarato ISRA, Important Shark and Ray Area, ovvero area di importanza per squali e Razze, infatti, il Banco risulta un’importantissima nursery per i gattopardi (Scyliorhinus stellaris) e un luogo dov’è molto facile, in alcuni periodi dell’anno, incontrare aquile di mare (Myliobatis aquila).

Da qualche tempo la gestione demaniale dell’area è passata al comune di Vico Equense che ha ridefinito, non senza polemiche, la regolamentazione di fruizione dell’area da parte dei sommozzatori. Non entro nel merito, anche se il regolamento è, secondo me, troppo restrittivo. Vi lascio un articoletto che ha una netta posizione a riguardo; potete farvi un’idea leggendolo:
Banco di Santa Croce: se il conto della tutela ambientale lo pagano, a torto, solo i subacquei
Prima volta al banco
La volta che mi immersi al Banco era il 2005, con una serie di grandi amici. All’epoca si partiva con un piccolo gommone dai bagni Bikini, non c’era neanche la boa che segnalava l’area protetta, ma solo una piccola tanica usata come galleggiante per l’ormeggio.

Da allora ho fatto qualche centinaio di immersioni, ma la maggior parte delle volte è pura meraviglia.
Il Banco è come un pacco da scartare a Natale, in superficie l’acqua è quasi sempre torbida, a volte oserei dire “melmosa”, come una carta regalo che nasconde una sorpresa bellissima, è per questo che ogni immersione che faccio lì è sempre emozionantissima.
Il libro di Picchetti
Conoscevo già il banco dai racconti dei grandi e per un piccolo libro, scritto da Guido Picchetti: “LA PENISOLA DI SORRENTO, CAPRI, PROCIDA , ISCHIA”, Edizioni Il Subacqueo Libri, 1994″.

Sia le descrizioni di Picchetti che di Gargiulo nei loro libri riportano le mire, i punti a terra da allineare per raggiungere il banco, in un’epoca in cui GPS ed ecoscandagli erano strumenti per pochi: erano informazioni basilari. Spesso anche seguendo le indicazioni si mancava la secca. Guido scrive nel suo libretto:
“il Banco di Santa Croce è un punto d immersione non molto frequentato dai subacquei a causa della scarsa visibilità dell’acqua che si riscontra il più delle volte, specialmente nei primi metri dalla superficie, e che ne rende dall’alto difficile l’esatta individuazione. Eppure si tratta di un ambiente roccioso di enorme interesse per l’immersione, per la straordinaria ricchezza di forme di vita mediterranee, sia libere che sessili, la cui presenza è favorita proprio da quell’apporto notevole di nutrienti, provenienti dallo sbocco del fiume Sarno, che della scarsa visibilità della zona è in massima parte responsabile. Non per nulla la secca è da decenni uno dei punti abitualmente frequentati dai subacquei professionisti della Stazione Zoologica di Napoli, che qui, con maggiore probabilità che altrove, trovano e prelevano gli organismi marini, a volte rari, richiesti dagli studiosi ospiti del famoso istituto di ricerca napoletano. Più che un’unica secca possiamo considerare il Banco di
Santa Croce come formato da cinque grandi pinnacoli rocciosi, tre dei quali con
le vette a 10, 16 e 18 m, e due poco distanti a quote inferiori. Ed è sul pinnacolo con la guglia a dieci metri che, dopo aver ancorato l’imbarcazione (all’epoca si usava l’ancora NDR) effettueremo la nostra discesa, seguendo la cima stessa dell’ ancora, fino a raggiungere il cappello della secca.”

Interessante come Guido descriva come “non molto frequentato dai subacquei“, in effetti all’epoca non lo era, questo ovviamente cozza con la realtà odierna. Nel libro Picchetti continua con un’interessantissima descrizione delle biocenosi bentoniche (tutto quello che vive attaccato al fondo) e degli incontri più comuni, la cosa che mi colpisce di più che dagli anni 80-90 ad oggi le cose sono cambiate molto poco, certo ci sono state delle oscillazioni nei popolamenti, ma mi ritrovo in ciò che descrive.
Interessante anche come Guido, anche se non biologo, si rivelasse un grandissimo esperto di biologia marina: sommozzatori di altri tempi, verrebbe da dire.
Vita sul Banco
Questo è uno dei punti centrali per chi visita il complesso di secche del Banco di Santa Croce: la meravigliosa esplosione di vita. In generale l’abbondanza di vita bentonica basterebbe a far si che il sito sia fra le meraviglie del golfo. Nei primissimi metri dominano bellissime distese di margherite di mare (Parazoanthus axinellae) e gorgonie gialle (Eunicella cavolinii).


Già dopo i primi 20 metri compaiono i primi rami di gorgonia rossa (Paramuricea clavata) e sui 40 bellissimi rami di falso corallo nero (Savaglia savaglia). Una grande colonia di questo esacorallo appartenente alla famiglia dei Parazoanthidae è presente sulla secca principale in prossimità dello spacco che la attraversa da parte a parte. Negli anni questa colonia è aumentata tantissimo crescendo e parassitando i rami delle gorgonie rosse adiacenti. Altri esemplari meno imponenti sono presenti in giro anche su piccole rocce fra le secche, purtroppo, invece, l’enorme esemplare presente sullo scoglio che da questo prendeva il nome, lo Scoglio della Gerardia (vecchio nome del genere di questa specie), non esiste più, probabilmente strappato da qualche rete molti anni fa.

Gli scogli sono praticamente ricoperti di vita; la vita bentonica sessile è spettacolare, come lo è l’enorme varietà di spugne fra le quali spiccano le bellissime Aplysina.
In particolare sulla secca di fuori (riportata nella cartina di Gargiulo come Scoglio dei cerianti) dominano le bellissime forme arborescenti di spugne del genere Axinella.

So benissimo che ciò che ricopre gli scogli colpisce molto poco l’immaginario del subacqueo medio e che qualcuno considera coreografia o (Dio mi salvi da un infarto) “vegetazione”, tutto quello che ricopre le rocce e non si muove, ma il banco non è ricco solo di vita bentonica: in realtà la fama di luogo magico per i sub è incentrata soprattutto sull’abbondante presenza di pesce.
Sono sicuramente iconiche le cernie brune che abitano queste secche, belle e possenti, quasi un ricordo vivente di come doveva essere il golfo prima del sovrasfruttamento delle risorse ittiche. Negli anni sentendosi al sicuro le cernie sono diventate sempre più confidenti e difficilmente fuggono spaventate.

Le cernie non sono le uniche star del palcoscenico del Banco: sparidi (tra i quali enormi dentici) aquile di mare (in alcuni periodi tantissime), enormi nuvole di clupeidi, tonni e chi più ne ha più ne metta.
La presenza del fiume Sarno, purtroppo fra i fiumi più inquinati d’Europa, alimenta con un surplus di nutrienti soprattutto il fitoplancton che, a catena, sostiene tutta la rete trofica, permettendo una “bio-ricchezza” incredibile, che nessuno si aspetterebbe in un posto così antropizzato.
A volte si entra in acqua e si rimane a bocca aperta: un mare di alacce (Sardinella aurita) o altri clupeidi, pesci che di solito vivono in banchi formati da molti esemplari, che si nutrono direttamente di piccolo plancton.

Pesca di frodo e guardiani silenziosi
Nonostante non sia andato nel dettaglio e non mi sia espresso sul nuovo regolamento di fruizione dell’area, una cosa è abbastanza chiara, senza la costante presenza dei sub qualcosa è cambiato al banco. Le lenze e le reti abbandonate sono diventate più comuni, i bracconieri si fanno più spregiudicati sapendo di non incontrare i sommozzatori.
Non è solo una sensazione: una ricerca condotta presso l’Università Federico II di Napoli, sottolinea come i subacquei svolgano un ruolo positivo per l’ecosistema marino, fungendo da sentinelle della salute dei fondali.
Non c’è niente di più consapevole di un subacqueo moderno, sin dagli inizi della preparazione i nuovi sommozzatori vengono educati al rispetto, all’educazione ambientale e alla fruizione consapevole dei siti di immersione.
Sicuramente l‘Iperturismo è un grosso problema, ma si potrebbero limitare il numero di subacquei permettendone comunque un afflusso costante durante l’anno.

Conclusioni
Ci sarebbe ancora molto da dire su questo meraviglioso punto di immersione, sempre nella top ten delle immersioni mediterranee, ma mi sono dilungato fin troppo. Le immagini raccontano molto poco della meraviglia in cui si è immersi ogni volta che si va al Banco; comunque ci provo, lasciandovi una piccola galleria.





























Se ne avete la possibilità, regalatevi un’immersione al Banco di Santa Croce. Vi ritroverete sospesi in un mondo dove il tempo sembra rallentare e la bellezza domina incontrastata. Alla luce delle torce i colori vi colpiranno con un’infinità di nuance fra giallo, arancio e rosso.
Alla fine capirete perché, da anni, ripeto sempre la stessa frase: il Banco vince, sempre!
Fabio Russo
