vermocane un invasore autoctono
Oggi voglio trattare con voi un piccolo “cold case”, sapete cosa significa questo termine?
Si tratta di un’analisi dei casi a “pista fredda”, un approccio di scienza forense volto a indagare una scena del crimine o un caso penale che è rimasto irrisolto e che attualmente non è soggetto a indagini o a procedimenti legali.
Il caso di cui vi voglio parlare riguarda il vermocane (Hermodice carunculata) un anellide Amphinomidae balzato agli onori della cronaca nel maggio/giugno del 2024 come il nuovo mostro marino, ad oggi quasi del tutto andato nel dimenticatoio.

Si sa i giornali sono sempre in cerca di click facili, vivono fondamentalmente di quello, e rimanere pacati e realisti non attira il grande pubblico. Così all’avvicinarsi della bella stagione cercano sempre qualcosa che riguardi il mare e la balneazione per fare notizia. Chi si ricorda del terribile granchio blu? Squali ovunque? Perchè non sostituirli con il brutto e cattivo vermocane?
V E R M O C A N E, fa già paura solo a nominarlo con quel suo nome da animale mitologico. Ma c’è un fondo di verità nel grande baraccone che tirò su la stampa all’inizio dell’estate del ’24?

Dopo più di una decade di osservazione e studio su quest’animale nella penisola sorrentina posso ritenermi, a torto o a ragione, uno dei conoscitori di questa specie in Mediterraneo e delle sue dinamiche locali, che in un certo senso sono quelle che stanno riguardando lentamente tutto il nostro mare.
Non è un alloctono ma…
Dobbiamo per forza di cose partire da un assunto, perché su questo punto nel tempo si è fatta molta confusione, non si tratta di una specie aliena o alloctona.
Come spesso dico, le parole in biologia hanno un peso specifico non indifferente, non si usano le parole a caso, ad esempio specie e razza non sono sinonimi, così come non lo sono identificazione e classificazione o braccia e tentacoli. Bisogna definire bene le parole che si usano in un discorso riguardante una qualsiasi scienza è basilare e ponderarle, altrimenti rischiamo di confonderci e far confondere chi ci segue.
Alloctona o aliena, in contrapposizione con autoctona o nativa, descrive una specie che a causa dell’azione, che sia intenzionale o causale, dell’uomo si trova in un areale diverso da quello suo naturale. Che siate d’accordo o meno, questa è la definizione e non si discute, è come una definizione matematica, serve come base per un discorso ed è universalmente accettata dalla comunità scientifica.
Il Mediterraneo è stato nella sua storia geologica un centro di grandissimi cambiamenti biologici, oltre 5 milioni di anni fa ad esempio, durante il Messiniano, quasi si disseccò completamente (crisi di salinità del Messiniano) e quanto le acque rientrarono da Gibilterra la fauna passò da una ad affinità tropicale indo-pacifica ad una ad affinità Atlantica. Sono quindi tutte le specie oggi presenti nel Mediterraneo aliene?
La risposta sta nella definizione del termine alloctono; “a causa dell’azione dell’uomo”, le specie che naturalmente entrano o si spostano in altri territori sono dette disperse naturalmente, nulla hanno a che fare con il termine di cui stiamo discutendo.

Dipanata una matassa dobbiamo subito dedicarci ad un altro nodo gordiano, tanto per esser chiari, alloctono e invasivo NON sono sinonimi e NON hanno lo stesso significato, occhio perché anche Wikipedia qui fa confusione, dovrò andare a correggerlo!
Per specie invasiva si intende una specie (alloctona o autoctona) che all’improvviso, grazie ad esplosioni demografiche importanti, invade un ambiente. Va da se che una nuova specie senza competitori naturali sia più spesso invasiva rispetto ad una già presente sul territorio, ma questo particolare non deve far coincidere i due termini.
In alcune condizioni anche una specie autoctona, nativa, può divenire invasiva ed è questo il caso del nostro amico vermocane.

Cosa è cambiato nel Mediterraneo allora da permettere a quest’anellide di diventare invasivo?
La risposta è più facile del previsto, la temperatura dell’acqua, infatti, il vermocane è una specie termofila che ama l’acqua calda e quindi si sta espandendo verso nuovi lidi, sempre più a nord seguendo il riscaldamento del bacino. In particolare le ondate di calore estive portano la temperatura dell’acqua ad essere più propizia per questi animali.
Allo stato dell’arte, il riscaldamento del bacino del Mediterraneo è un dato di fatto, evidenziato e supportato da varie ricerche; le temperature indicano una tendenza al riscaldamento dello strato superficiale in tutto il bacino e nel 2023 il Mar Mediterraneo ha registrato il più alto contenuto di calore oceanico osservato dagli anni ’50. Il vermocane quindi espande il proprio areale verso nord seguendo il riscaldamento del Mediterraneo, un fenomeno noto come meridionalizzazione.
Il primo vermocane che ho osservato in vita mia lo vidi a Pantelleria, un isola che si trova al centro del Canale di Sicilia a 35 miglia nautiche dalle coste della Tunisia, nell’ottobre del 2004. La presenza nelle acque dell’isola era ben consolidata e feci una bella serie di incontri.

Sarebbero passati un po’ di anni per un seguente avvistamento, 2011, presso la grotta azzurra di Palinuro (SA), un bel po’ più a nord.
Come vi dicevo non si tratta di una specie alloctona, è una specie Mediterranea, ma storicamente più frequente nella parte meridionale del bacino, infatti, l’areale nativo di questa specie anfiatlantica comprende i Caraibi e il Golfo del Messico, il Mar Rosso e il Mar Mediterraneo, quasi esclusivamente nelle regioni meridionali o almeno era così fino a qualche anno fa.
Un’indagine storiografica sugli esemplari conservati nelle collezioni dei principali musei italiani ed europei ha rivelato che la presenza nel Mar Mediterraneo risale al 1899. Il primo esemplare noto è registrato nella “Zoological Collection Database” della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, fu raccolto a Capri, presso “Punta del Capo” vicino a Marina Grande, a una profondità di 50 metri con una rete da posta, probabilmente una tramaglio. Un secondo esemplare, privo di dati di raccolta, presente nella collezione potrebbe corrispondere, secondo i curatori del museo, all’esemplare pescato nel 1909 a San Giovanni a Teduccio (NA) con una rete da posta a 30 metri di profondità su fondale roccioso.

Quindi c’è una presenza storica nel golfo di Napoli, anche se estremamente sporadica visto che gli unici esemplari che abbiamo in collezione arrivano fra la fine dell’1800 e gli inizi del 1900. I primi incontri che, insieme ad altri sub, facemmo in penisola sorrentina risalgono al 2013 (attenzione ci sono alcune segnalazioni per l’area per primi anni ’70), all’epoca nella baia di Puolo (Massa Lubrense (NA)) incontrammo per molte volte quello che amichevolmente chiamavamo “il mostro”. Un enorme vermocane che avvistammo fino al 2019 e che nel frattempo crebbe fino ad arrivare all’incredibile lunghezza record stimata di 75 cm.

Il “mostro” era solo un’apripista in penisola sorrentina, i numeri degli avvistamenti crebbero anno dopo anno, più precisamente fra il 2013 e il 2017 non vi furono nuovi avvistamenti, fino al 2018 si osservarono esemplari solo all’interno della baia di Puolo, dopo di che i numeri sono cresciuti con una relativa esplosione della specie nel 20221, 2022 e 2023. In realtà ho dati anche per quanto riguarda il 2024, che purtroppo non ho ancora analizzato ma che sembrano del tutto il linea con quelli osservati negli ultimi anni.

L’osservazione dei vermocani in penisola sorrentina è cresciuta in percentuale e ad oggi, specialmente in alcuni punti, quasi sfiora il 100%. Ovviamente ho analizzato tutti i dati in mio possesso con molteplici modelli statistici, per essere sicuro che i numeri osservati in questi anni non siano affetti da bias legati all’osservatore, ma vi risparmio questa parte “tecnica” per non annoiarvi troppo.
Sicuramente il numeri più a sud sono molto più importanti e la specie può essere considerata invasiva in tutti i sensi, anche la sua rapida espansione verso nord è ineccepibile. Ad oggi si trova in luoghi dove storicamente non era presente e dove lo era si vedono i numeri crescere abbastanza rapidamente.
che ne pensano i pescatori?
Mentre raccoglievo i dati sugli avvistamenti mi è venuto in mente di fare qualche intervista ai pescatori, sapevo che più a sud l’impatto di questa specie sulla piccola pesca costiera era stato considerevole e volevo vedere se i pescatori ne sapessero più di me. Ho la fortuna di frequentare un paio di porti dove le uniche tecniche di pesca usate sono artigianali e gli strumenti utilizzati sono proprio quelli più colpiti anche nella parte più meridionale d’Italia.

Preparai un bel form con una serie di domande, per fortuna riuscii a terminare le mie interviste prima che il vermocane divenisse “famigerato” e che quindi i media potessero inquinare i qualche modo la veridicità di quello che i pescatori avrebbero potuto rispondere. Ovviamente per poter intervistare i pescatori c’è bisogno di doti particolari, bisogna entrare nelle loro grazie e saper ascoltare, a volte ci vuole più tempo del previsto e bisogna letteralmente estrapolare i dati dalle risposte che danno. Mi è successo di chiacchierare amabilmente per ore per poter sottoporre un’intervista di appena 5 minuti.
Tutto sommato dalle interviste è risultato che la cattura del vermocane è accidentale nella penisola sorrentina e risultava più una curiosità che altro, in molti non avevano mai visto la specie in oggetto. Tuttavia le catture di questa specie, che si nutre dei pesci che muoiono nelle reti e nelle nasse, è aumentata negli ulti anni. Dopo l’ondata mediatica i pescatori hanno cominciato a fermarmi e quelli che prima non erano preoccupati di un eventuale impatto sulla loro attività hanno iniziato ad esserlo, potere del tam–tam mediatico. Per il momento, nonostante gli studi più a sud dicano il contrario, la situazione, perlomeno in penisola sorrentina, risulta essere sotto controllo.

È davvero una minaccia?
La risposta a questa domanda è, come nella maggior parte dei casi, dipende!
Sicuramente non è una minaccia diretta per l’essere umano. Certamente, il contatto con le setole urticanti di H. carunculata può comportare notevoli disagi, tra cui bruciore intenso, arrossamento e intorpidimento. Ad esempio, i pescatori potrebbero inavvertitamente subire punture mentre maneggiano i pesci o puliscono le reti. Durante le interviste ho raccolto una testimonianza di ricovero ospedaliero senza conseguenze, oltre a quella di altri tre pescatori che sono stati colpiti, in più una poco attenta giovane subacquea ne ha toccato uno con minime conseguenze, curate rapidamente con tutte le conoscenze che abbiamo ad oggi. Sono stato colpito io stesso mentre raccoglievo campioni senza nessuna conseguenza. Naturalmente ci sono persone più sensibili alle tossine e quindi ci potrebbero essere casi più gravi, ma si tratta di un eventualità remota, insomma basta stare attenti e nei casi si possa venire in contatto usare dei guanti. Anche il contatto durante le normali attività balneari ad oggi è abbastanza difficile, infatti, la specie difficilmente si spinge a profondità inferiori ai 2 metri, magari informare per bene i giovani snorkelisti, pescatori subacquei è una buona idea, i sommozzatori invece, per preparazione classica in genere non toccano nulla.
Quello che dovrebbe preoccupare e l’impatto, che assolutamente non può essere calcolato realisticamente, sugli ecosistemi. Il vermocane si nutre praticamente di tutto, in genere è uno spazino, ma può anche essere predatore attivo di animali bentonici sessili o vagili con scarsa mobilità, è documentato come si nutra attivamente di madrepore, coralli e gorgonie.


A causa della sua dieta onnivora alte densità di Hermodice carunculata possono esercitare una forte pressione predatoria su taxa chiave sessili e sedentari delle comunità bentoniche, tra cui cnidari, molluschi, echinodermi e tunicati. Quindi non è da escludere un impatto sugli ecosistemi, del resto un aumento incontrollato di una specie porta sempre a scompensi ecologici e i danni, soprattutto in ambiente marino, sono difficilmente attribuibili ad un unico fattore.
Ad esempio un recente studio ha evidenziato che un incremento di temperatura dell’acque debilita le madrepore arancioni (Astroides calycularis), a loro volta più soggette alla predazione da parte del vermocane che è in aumento grazie all’incremento delle temperature, un feedback negativo praticamente.
Sicuramente da quello che al momento sappiamo la piccola pesca costiera è l’attività umana più colpita dall’aumento numerico della specie.
Cosa possiamo fare per limitarne l’espansione?
Il fai date non è mai auspicabile, cercare di eliminare gli esemplari senza conoscere bene la loro biologia ed etologia non è una buona idea, per esempio tagliare gli esemplari potrebbe portare ad averne di più. Uno studio ha evidenziato, come in condizioni controllate, vermocani tagliati in due rigenerino non solo la coda ma anche una nuova testa. Questa è un eventualità molto remota, anche perché mentre la testa si rigenera l’esemplare non può nutrirsi, ma è molto probabile che esemplari tagliati rigenerino la parte posteriore anche in natura.
Dobbiamo comunque tenere presente anche un problema di tipo etico e legale; eticamente si tratta di una specie che si sta espandendo “naturalmente” anche se guidata dal riscaldamento delle acque, quanto diritto abbiamo di eliminarlo?
Per la legge italiana tutti gli animali selvatici sono protetti, secondo la Legge n. 157 del 1992, e successive modifiche; la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale (Articolo 1, comma 1). Tecnicamente, gli esemplari catturati accidentalmente dai pescatori dovrebbero essere rilasciati.

Ovviamente essendo anche saprofagi i vermocani vanno a nozze dove ci sono scarti di pesca e alimentari, per ridurne la proliferazione bisognerebbe controllare quest’ultimi e non lasciare per troppo tempo gli attrezzi da pesca in acqua, meno cibo risulta sempre in una minore capacità riproduttiva.
Uno dei passi fondamentali per controllare una specie invasiva sarebbe il controllo biologico. Tuttavia, un vero controllo biologico di questa specie non è applicabile, poiché ad oggi non sono noti predatori nel Mediterraneo. Non è riportato in letteratura, ma probabilmente una parte delle larve viene predata. Questa lacuna è dovuta principalmente alla nostra conoscenza limitata sullo sviluppo larvale e sul momento di insediamento delle larve di H. carunculata. Saranno necessari studi più approfonditi, specificamente sulle fasi larvali.

Sebbene il monitoraggio locale sia fondamentale per comprendere la distribuzione in un’area limitata, è una priorità assoluta continuare a monitorare H. carunculata non solo a livello locale, ma anche a livello nazionale. A questo proposito, negli ultimi anni sono stati avviati numerosi progetti di monitoraggio sulla presenza della specie e sul suo impatto sulla piccola pesca come ad esempio, il progetto “Worms Out” che mi vi vede fra i protagonisti.
Sicuramente, in futuro, ci si aspetta un aumento numerico degli esemplari di questa specie . Un maggiore coinvolgimento, anche attraverso l’uso della Citizen science, potrebbe aiutare a comprendere meglio la distribuzione e la frequenza del vermocane.
Vi lascio a proposito un link ad un questionario:
questionario on-line
Con questa pagina invece potete seguire tutti gli aggiornamenti sulla distribuzione del vermocane nei nostri mari:
Monitoraggio Vermocane
Ci sarebbe ancora molto da scrivere, ma per il momento mi fermo qui.
Dopo tutto quello che vi ho raccontato pensate ancora che quest’anellide sia il mostro che molti hanno sbattuto in prima pagina?
La mia opinione spero trapeli da quello che ho scritto.
Fabio Russo

Se volete un po’ di bibliografia da consultare fatemelo sapere 😉
"Mi piace""Mi piace"